mercoledì 17 febbraio 2016

Fucking Psycho

Così ero finita in quella fottutissima specie di relazione. Lui lo chiamavo Psycho, perché le sue alterazioni continue di umore mi facevano pensare non fosse poi così mentalmente stabile. Non che io lo fossi. Ma insomma, era un misto tra odio e ammirazione (più che amore), quella che provavo per Psycho.
Lui sapeva suonare la chitarra. Da Dio.
Ah, ma prima che fosse Psycho, lui era Mathias, il ragazzo che mi piaceva. Mi aveva persino detto che con l'esperienza aveva imparato ad apprezzare le persone per quelle che erano, internamente, nel profondo. Ma non avevo visto che nel suo, di profondo, c'era rimasto solo marciume.
Oh, ma io ero attratta da quella sottospecie di talento psicopatico. Così fiero di quel suo IO tirato su con tanta rabbia, così grande in quella sua anima rimasta spoglia e sporca. Dannazione, a me piaceva. Era una sorta di rimasuglio di un piccolo uomo che pensavo di poter tirar su. Lui aveva talento! Ma questo l'ho già detto.

Aspettavo la sera, perché Psycho, nella sua totale follia, si faceva sentire solo dopo cena, manco fosse un cazzo di rito. Una sera incazzato, l'altra felice, l'altra ancora malinconico, e quella dopo orgoglioso. Io servivo di più o di meno in base al suo umore, e così variava il numero delle sue risposte in base ai giorni...oh scusate, in base alle SERE.
Io mi adattavo, perché pensavo di poterlo salvare.
Mi immaginate? SuperAli in un altro dei suoi fallimentari tentativi nel cambiare qualcosa.

Così una volta ogni tot di mesi ci si vedeva, in stazione.
Lui arrivava. Quasi gli mancava del sangue sulle mani e sulla maglia per assomigliare ad un serial killer, ma era così che mi attraeva: uno psicopatico maniaco serial killer un po' rockettaro. Io mi limitavo a sorridere.
Sapete, ad ogni uscita con qualsiasi ragazzo, il mio corpo decide quasi di immobilizzarsi, manco fossi il manichino di qualche grande magazzino. Ma va così.
Psycho era una mitraglietta di cazzate, che tra l'altro mi facevano ridere, e io ero la brava ragazzaccia assuefatta da ogni sua parola e sguardo. E mentre ascoltavo pensavo "se mi muovo di un centimetro in più il rotolo sotto le mie tette avrà modo di farsi vedere e Psycho deciderà di non volermi amare", così camminavo coprendomi la ciccia con la borsa.
Io DOVEVO piacere a quella specie di chitarrista, dannazione, DOVEVO diventare la donna di quel musicista rockettaro sexy, pieno di passione e (magari) successo!

Ma Mathias nascondeva qualcosa.
Mathias nutriva una doppia personalità.
Mathias era chitarrista, talentuoso, il solito belloccio da palcoscenico, ma quasi buono.
Psycho no. Psycho era il chitarrista ubriaco di whisky e drogato di un vecchio sentimento d'amore lacerato più volte, incarognito e rabbioso. Così dannatamente folle.
Impazzivo. Piangevo. Lo aspettavo. Attendevo. Perdevo sonno. E piano piano cominciava a mangiarsi anche il mio di umore. A cosa servivo? A cosa gli servivo se non potevo né farlo stare meglio né peggio?
Non sapevo su quale sua cazzata basarmi. Qual era il vero sentimento di Psycho?
Perché una volta mi baciò di sfuggita, prima di prendere il treno, come nei film, e correndo giù per le scale si pentì del bacio appena dato. Lo disse.
Ma un giorno mi baciò ancora. Io frenata da chissà quale paura, lo respinsi. Così mi convinse, con una delle sue farse:  "ti prometto che farò in modo di non farla finire male!". Sì, non sarebbe finita male, ma sarebbe finita comunque. L'aveva detto.
Che aborto di illusioni mi facevo.
Era due persone, non poteva esserci spazio per un terzo. Non si sta in tre, o di più. Lui era già pieno da solo.

Ah, Psycho. Aveva finito la routine dei messaggi dopo cena con quella bambasciona di Ali. Così, dopo ben due settimane, avevo sospetti, molto forti. Dopo un mese vidi la sua foto profilo di Facebook: abbracciato amorevolmente con una specie di fotomodella un po' bambola, un po' gotica.
Eccolo lì Psycho.
Fanculo, la carogna era salita a me stavolta.
Psycho non amava, suvvia. Era figlio del diavolo, quello. Era la copia sputata di quel delinquente di suo padre.
Ma ora avevo anche io l'ennesimo sentimento lacerato. Sembrava quasi li collezionassi.

Ok, ammetto che Psycho superava il limite della pazzia, ben più in là del mio. Ma io avevo comunque qualcosa che non andava. I miei sentimenti erano malati. Si attaccavano sempre lo stesso virus, si ammalavano e morivano. Per non parlare di quello che succedeva ogni volta dentro quella testa che mi ritrovavo. Il caos. I miei pensieri avevano la necessità di doversi aggrappare per restare in piedi, o cominciavano ad oscillare e a fare casino, per poi frantumarsi. Forse ero Psycho anch'io. Forse eravamo la stessa persona. Lui, la mia copia caduta in qualche specie di depressione da post "rottura di felicità". Peccato lui fosse ormai fatto, andato, impazzito. Io ancora nuotavo alla deriva per salvarmi.

Forse salvavo lui per salvare me stessa.
Forse salvavo lui sperando, una volta in salvo, salvasse anche me.
Forse salvavo lui per distruggere me stessa.
Ah chi lo sa.
Giuro però di essere più vicina alla riva.

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