venerdì 30 ottobre 2015

N° 3 vs n° 10.

Ok.
Questa dovete proprio saperla.

Stanotte ho dormito poco più di tre ore. Tre. 
Ho bevuto tre caffè.
Ho visto Sofia per tre ore.
Ho pranzato alle tre.
Ma cosa più importante, sono un tre.

Ora vi spiego.
Sofia ha avuto da dire con il ragazzo, perché fondamentalmente è un coglione. Così è uscita prima da scuola. Era nervosa, abbattuta e un po' con la testa fra le nuvole.
Io già avevo inquadrato questo gran caprone che si era scelta, ma, forse un po' per la felicità che vedevo nei suoi occhi, non ho voluto dire nulla. Ma comunque, ci siamo viste e abbiamo riso e scherzato insieme.

-Sai, quando succedono 'ste cose, non c'è cosa migliore che passare le giornate con la propria amica.-
Le ho dato un grande bacio sulla guancia.

Così, prese bene per la serata di domani, abbiamo scherzato con Ed.
Sì, sapete...il ragazzo russo dagli occhi azzurri e il nome impronunciabile. Ecco, lui vorrebbe conoscermi. Perché dalle foto sembro un'altra persona, devo ammettere, e come ogni ragazza che odia il suo corpo, non ho foto di me per intera. 
Perfettissimissimo!
Guai in vista! Yay!
A volte penso di essere una grande bugia. Forse sono la regina dei bugiardi. Avete presente quelle persone che, pur di parlare in chat con qualcuno e di sentirsi socialmente "attive", si fanno foto strafighe, stramodificate per parlare con più gente? Per poi alla domanda "allora, domani ci vediamo? ;)" spariscono dalla faccia della Terra, di Saturno e del Sistema Solare? Ecco, io sono così. Gran bugiarda.

Ma comunque, la sera torno a casa, dopo una lunga giornata.

Notifica su Whatsapp.

"Sofia ti ha inviato un'immagine."

Scorro la tendina, apro la chat.

"                  *FOTO*

Ma quanto è figo in questa foto?!"

Una foto in primo piano del viso di Ed.
Era tutto il giorno che sul gruppo ci inviavamo foto stupide, ed Ed sembrava un ragazzo qualunque, davvero.
Ma ora avevo una foto in primo piano del viso di Ed.
Mi è crollato letteralmente il soffitto, di tutti i sette piani del mio condominio, addosso. 
Sconforto improvviso. Nodo allo stomaco.
Lineamenti perfetti, labbra carnose e accoglienti, pelle chiara, naso perfettamente proporzionato alle guance lisce, il tutto sposato meravigliosamente con occhi profondi e azzurri. 
Credo di aver visto il paradiso, gente.
Sono rimasta a fissare quella foto per non so quanto. Magari erano secondi, ma giuro che mi son sembrati almeno trenta minuti.
Qui arriva il bello, perché, chi volevo prendere in giro? No, seriamente.
Su una scala di bellezza io arrivo per miracolo al numero 3, e lui è il numero 10. Cazzo dico? Ma facciamo anche 1'000'000.
Che speranze ho? A cosa mi aggrapperò stavolta? A quale dannatissima scusa? 
Non avrei mai dovuto ricevere quell'immagine. Mai.

In più, per infliggermi altra sofferenza emotiva, ho di nuovo fatto quella roba del confronto tra foto. Indovinate? Non avrei dovuto nemmeno fare questo, perché ora sono letteralmente divorata dallo sconforto. 
Ho detto persino a Sofia di provarci lei, perché seriamente, io non ho possibilità. Almeno mi tolgo il pensiero.
Ma se prima era impossibile piacergli, ora è proprio fantascienza. 
Sofia per lo meno è bella, fisico mozzafiato, curve al proprio posto, viso dolce. Insomma, tutto quello che io non sono. Lei ha decisamente più possibilità di me.
Come si fa a competere con un 10?
Io sono un insieme di errori, grasso e di cattivo gusto.
Sarò sincera, probabilmente lascerò perdere, come al solito. Perché in questi casi non ho vasta scelta. Opto per la fuga. 
Domani sera, ad Halloween, sarà l'unico ragazzo tra almeno cinque femmine. E attenzione che, con un elemento come lui, le femmine diventano pericolose, tirano fuori gli artigli. Io evito proprio di combattere. Più che un leone sono Leone Cane Fifone.
Guarderà altre, io cerco di rimanere nell'ombra. Cerco di nascondermi, come ho sempre fatto, dietro il mio fantoccio obeso, triste e solo.

Niente scherzi. 

Lui è un dieci.  
 









Lavagnetta, sei davvero magica?

Oggi, giovedì, mi sono svegliata ancora più tardi di ieri. Credo sia iniziata la trasformazione, sto diventando un vampiro, è fatta (spero solo non come quelli di Twilight).
Eppure la sveglia la metto. Sta lì, con la lancetta ferma sulle otto. Ma quando suona e mi sveglio, sento una vocina nella testa che mi dice "tranquilla, dormi". Così la stacco e mi rimetto giù.
Poi cazzo, stavo sognando! Mi stavo facendo fare giusto un tatuaggio lungo la schiena, stamani. E poi nei sogni non sono così chubby.
Chiudo gli occhi.
Il sonno mi abbraccia e...
Il cellulare squilla.
Il cuore mi finisce direttamente in gola, battendo violentemente sotto al cervelletto. Mal di testa. Insulti.

-...pronto?-
-Ciao Alana, sono Gioia! Ti disturbo?-
No figurati, ho appena attentato un omicidio alla sveglia, e c'è la tatuatrice che mi aspetta nel sogno. Ma fai con calma.
-No! Assolutamente no!-
Bugia.
-Volevo chiederti, dove hai messo il guinzaglio?-

Occupo le giornate dilettandomi come dog sitter. Una passeggiata con un cane fa bene all'anima, bisogna dirlo. Aria fresca, lunghe camminate in mezzo ai parchi, paesaggi, pensieri.
Ma io quel guinzaglio l'ho lasciato sul termosifone più visibile della casa. Come si fa a non vederlo?

-E' sul termosifone vicino alla porta d'ingresso.- cerco di fare la voce meno assonnata possibile.
-Ah ok! L'ho visto! Grazie eh! Allora solo oggi non ci sei, domani invece sì, giusto?-
-Giusto!-

Giusto. Porca miseria. Oggi è il giorno più noioso e lungo della settimana.
Teoria musicale. Panico. Terrore.
Mi alzo, sto seduta sul letto, penso. Il mio cane mi guarda, io invece la riconosco a fatica senza occhiali.
Ora mi alzo.
"Cibo", è la parola che mi da la forza. Mia madre ormai è di là che prepara, scalda i miei carissimi e miseri sessanta grammi di pasta integrale. Mi siedo, e mi porta il piatto.
Naturalmente per rendere il tutto più appetibile, ci lancio con violenza altri sessanta grammi di parmigiano, ed ecco: parmigiano alla pasta. Ottimo.
Poi noto che a pranzare sono solo io.

-Mamma, tu non mangi?-
-No, ho mangiato un frutto e bon, non ho fame.-

Ecco, sta roba proprio non riesco a comprenderla. Ma come si fa a non aver fame? Che qualcuno me lo spieghi, perché io proprio non mi capacito di tutto ciò. C'è un modo? Una pozione magica? Un rituale? Una pianta? UN QUALCOSA?
Vado avanti a forza di diete da quando avevo dieci anni, per sta roba. Io la fame ce l'ho ad ogni minuto del giorno. Lo stomaco non mi si chiude MAI. Manco dovessero chiuderlo con qualche supercolla, o che ne so, cucirlo con un filo indistruttibile, fatto con polvere di diamante e acciaio ultraresistente.

Comunque, passata la grande noia del post pranzo, mi vesto. E' ora. E' il momento.
Metto i primi cazzo di vestiti che trovo, proprio non ho voglia di star troppo tempo a prepararmi. Mi lego i capelli, perché sono schifosamente osceni, un filo di trucco e via.
Sul cellulare si parla della festa di Halloween. E' Sofia che ha creato il gruppo su Whatsapp assieme a questo tipo niente male; occhi azzurri, capelli chiari, nome leggermente impronunciabile, che noi semplificheremo in Ed.
Sì, sono presa abbastanza bene, forse perché so già come andrà a finire, no? E' facile. Mi vede e bon, si fa una grassa idea su di me.
Caro Ed, so fin troppo bene come vanno a finire queste cose, ma per una volta vedrò di fregarmene, chissà, magari qualche chupito mi aiuterà.
Ma aspettate, perché prima di uscire mi è venuta l'idea di riprovare il giubotto, quello di una settimana fa.
Oddio, forse si abbottona. Forse la lavagna magica funziona!
Porca troia!
Miseriaccia!
E' letteralmente esplosa la cerniera.

Ok, lavagnetta, parliamone. Ti ho scritto in grande "HAPPINESS", non "LASAGNA TRIPLA BESCIAMELLA DI MAMMA".
Ogni mattina scrivo il numero di giorni che son passati dall'ultima volta che mi sono abbuffata, al di fuori della dieta. Il numero di giorni che mi porteranno verso la felicità. Ma chissà quante volte dovrò ripartire da zero. E' vero che sono passati solo otto giorni, perché il secondo capitolo è di una settimana fa, ma vuoi dirmi che non ho perso nemmeno un kilo?
Tra l'altro non lo saprò mai, essendo che la bilancia ha deciso di non funzionare.
Coincidenze? Io non credo.
Comunque, insulti a parte, la lavagnetta a volte svolge il suo dovere.
Quando la mia fame comincia ad animarsi, quasi come fosse posseduta, guardo la lavagnetta e penso "Non posso sgarrare. Non ho voglia di ripartire dal numero uno."

Funge...

...per adesso.



Dato che soffro di ipercontrollo e ipercontrollo emotivo (segnatevi questi altri disturbi), sono scesa circa mezz'ora prima per evitare di perdere il bus, sotto casa mia. Sì, proprio sotto. Se vi affacciate vedrete la fermata a nemmeno venti metri.
Con me ho tutto il necessario: il mio libro, i miei appunti degli anni scorsi, una penna, una matita, e una gomma a forma di baffi. Teoria Musicale, ti batterò.

Così arrivo tutta sudata (perché per colpa del mio spesso strato di lardo, anche d'inverno, a -30°, sudo), naturalmente troppo in anticipo. Giro un po' intorno all'edificio, come una malata di Alzheimer che ha perso la via per la clinica e...vedo gente sospetta.
Entro, ok.
Non c'è nessuno, a parte il tipo secco alla segreteria, che mi saluta con una voglia di vivere che probabilmente ha fatto cadere nel water mentre si abbotonava i pantaloni. Cammino lungo il corridoio, la poltroncina mi chiama, mi siedo.
E man mano che aspetto seduta, coprendomi quello scempio di pancia che ho da Buddah, arriva gente: i miei compagni di classe.
Siamo un po' più di una decina. Otto bambini, due ragazzi, un sessantenne, una peruviana, una che ha avuto problemi con l'eyeliner, e una chitarrista con una parlantina fin troppo fastidiosa. L'insegnante invece lo conosco, e mi sta simpatico da morire!
Per tutta la durata della lezione non ho fatto altro che trovare sicurezza negli occhi dell'insegnante. Ci parla di musica, ed è un po' come sentirsi a casa.

Non vedo l'ora di tornare il prossimo giovedì.

Cosa? Davvero l'ho pensato?

Torno a casa pensando alla stessa cosa. Voglio tornarci. In quella stanza, in parte, sono come me. Stessa passione.
Guardo la lavagnetta, sorrido.

Saprò farti vedere di cosa sono capace.






giovedì 29 ottobre 2015

II

Solita giornata.
Mi sveglio, tardi, naturalmente. Mi alzo, confusa come un pesce in una boccia, poi saluto il mio cane, felice del mio risveglio.
A volte penso che mi creda morta, o che ne so, in una specie di letargo infinito. Così scodinzola un po', mi lecca un po' le mani, un po' la faccia e comincia a seguirmi ovunque. Forse non è nera a caso.
Ma comunque, chiunque si starà chiedendo che fine abbia fatto il primo capitolo. Non lo so. Nel senso, sentivo di dover scrivere dal secondo. Il primo capitolo della mia esistenza è davvero troppo lungo, gente. Così ho avuto la grande idea di non scriverlo affatto. Le cose le saprete man mano, leggendo intere giornate di un'adolescente lagnosa e un po' folle: Alana.
Davvero, credo mi manchi qualche rotella. Penso sia per il fatto che, più o meno, tutti abbiamo questa specie di scintilla nella testa. Che ogni tanto infiamma il cervello e bon, tutto si fotte. La mia è decisamente una fiamma.
Sarò volgare a volte. E per questo mi odierete.
Sarò pensierosa. E per questo vorrete non leggere più.
Ma tutto fa parte di me. Ogni dannata parola sarà la mia. Quindi, silenzio che cominciamo.
Dicevo, ogni mia giornata parte quasi sempre così. Tardi. E il primo pensiero di ogni adolescente è una persona. Sì sapete no? Gli amori, le cotte, gente che va, gente che viene. Un sorso d'ansia già di prima mattina, insomma. Che poi è ormai pomeriggio.
Il punto è che a me vengono in mente circa cinque persone appena sveglia, così di botto. Forse di più. Anche perché la notte ne sogno almeno il triplo.
Quindi il mio cervello già fuma, e fa rumore almeno quanto una mietitrebbia.
Ah, ma dimentico mia madre.
Arriva da lavoro, all'ora di pranzo, con la sua solita vocina allegra. Tiene in mano qualche busta della spesa, con dentro solo roba salutare, o almeno pare.
DIETA. Ecco un altro pensiero che comincia a farsi spazio tra la folla dentro il mio cranio. Sbuffo un attimo. Ed ecco che arriva la fatidica domanda che mi fa letteralmente perdere le staffe: "ma sei arrabbiata?".
Dovete sapere che ho rabbia per chiunque. Chi vuole si metta in fila.
-No.-
Secca. Decisa.
-Non è vero. Cosa è successo?-
Appena sveglia, cosa può essermi successo? Cosa?
-Nulla!-
Ok. Ora ha la faccia incazzata.
E così comincia un'altra schifosissima giornata.
Vado in bagno, mi chiudo e cerco di prepararmi, o almeno cerco di non sembrare la classica cicciona da McDonald, con qualche macchia di ketchup sulla maglietta.
Con grande fatica mi tolgo il pigiama, e con altrettanta fatica mi guardo allo specchio. E' più forte di me, vorrei non guardare, ma un occhio ce lo butto sempre. Almeno per assicurarmi di non essere diventata chissà quale oscenità.
Ma osceno è dir poco.
Ho persino i rotolini di ciccia sulla schiena!
Vogliamo parlare delle braccia? Pendono pesantemente verso terra, ed è proprio in questo momento che odio la gravità più di ogni altra cosa.
Il sedere decisamente enorme, bucherellato dalla ritenzione e dalla cellulite. E poi, smagliature. Smagliature ovunque. Ma che scherzo della natura sono?
Dannati dolci, dannata pizza, dannate torte!
Cerco di non vomitare e mi vesto. Poi arrivo al trucco. Almeno il trucco dai!
La mia faccia è guardabile, almeno. Gli occhi mi piacciono. Mi hanno detto spesso che sembrano quelli di un cerbiatto.
Quindi, una volta captato il punto di forza, lo esaltiamo.
La gente dovrà tener fisso lo sguardo sugli occhi. Non sui fianchi, non sul sedere, non sulle gambe. Sugli occhi.
Perfetto. Sono pronta.
E' arrivato il momento di tirar fuori il giubotto dell'anno scorso. Oggi fa troppo freddo.
Pensavo giusto ieri di evitare di mettere quello rosso, lungo, dato che mi fa sembrare una campana. Provo quello verde militare, corto, ma abbastanza caldo da non farmi venire una broncopolmonite.
Ma veramente?
Veramente non mi si chiude? 
Manca un dannatissimo centimetro, dannazione!
Questo è l'esatto momento in cui scopro di essere ingrassata, ancora. Ancora.
Lancio malamente il giubotto sul letto, e sinceramente vorrei buttarmici sopra per strapparlo e dargli fuoco. Ma forse l'unica a cui dovrei dare fuoco sono io, almeno brucio calorie.
Scintilla. Nella testa. Cervello che si infiamma. Solita roba. Solita rabbia.
Infilo la prima cazzo di felpa, nera naturalmente, ed esco con mia madre.
Il viaggio in macchina è silenzioso, ma il momento più bello della giornata. Il momento in cui infilo le cuffie e ciao mondo. Lo scorrere inesorabile delle immagini sul finestrino attiva un'altra parte del mio cervello: quella dell'immaginazione. Dove la mia mente da sfogo ad ogni tipo di sentimento, dove tutto esplode senza far rumore. Immagini, persone. Il tutto accompagnato da musica rock, alternata a note di malinconia pura. L'esatto momento in cui posso essere chi voglio. Magari alta, magra e bella. Ben voluta da chiunque, desiderata da ogni uomo sulla faccia della terra. Un po' bella è impossibile.
Ma mia madre è scesa dalla macchina, e siamo arrivate.
Così ci prendiamo un caffè insieme al bar. Lei è silenziosa, un pò incazzata. Io pure. Ma a volte vorrei capisse che non ce l'ho con lei. Posso avere o no il diritto di sentirmi in crisi ogni tanto? Cioè, capisco che capita la maggior parte delle volte, ma dannazione, sto così e basta!
-Ci vediamo dopo.-
Dice. Mi bacia.
Sbuffo. Saluto il barista e mi dirigo da Sonia.
Sonia mi fa accomodare sul divano. Ma ormai è abitudine e lo faccio da sola. Lei sorride, sempre.
Incredibile, vorrei essere come lei.
-Come stai? Che mi racconti?-
-Mh, insomma, bene.-
Parto sempre così. Prima "abbastanza", "insomma", e poi "bene". Ma mi prendo per il culo da sola?
-Ti sento. Cosa succede?-
-Nulla, solita roba. E' di nuovo un periodo un po' così.-
Sì, mi prendo per il culo da sola.
-Racconta.-
Prende taccuino e penna.
Ora? Da cosa parto?
-Questa settimana non riesco a tenermi, mi abbuffo di sovente. Mangio con foga, di fretta e con rabbia.-
-Secondo te come mai?-
Ma non credi che se lo sapessi forse riuscirei anche a trattenermi?
-Non lo so. Passo troppo tempo a pensare a cose non belle, e poi vedo le mie amiche...mi sento un po' sola.-
Sola. E' quella parola che mi fa salire il magone e mi si ficca come masso sul petto.
-Hai trovato lavoro?-
Nessuno sa, a parte Sonia, che sono letteralmente terrorizzata dal lavoro. Una volta, mentre lavoravo in nero per un'estetista, mi è persino venuta un'ansia tale da farmi licenziare nel giro tre giorni. Mi si chiudeva la gola, e respiravo a fatica. Così, dal mattino fino la sera. Al che, essendo leggermente ipocondriaca, ho pensato stessi per morire. Una roba tipo tumore ai polmoni. Un mese, e via sotto terra.
Una volta licenziata, i sintomi passarono del tutto. A Sonia lo avevo raccontato. Diagnosi? Ansia da prestazione. Ah, cominciate a segnarvi i disturbi, ne ho un po'.
-No, non ancora.-
-Capisco la tua paura. Ma hai bisogno di fare cose, e poi ormai sei grande, è ora di fare progetti. Come va col canto? Hai iniziato teoria?-
Anche qui. Dovete sapere che la musica è la mia vita. Quando canto entro in un altro mondo, tutto svanisce. Così frequento delle lezioni in una scuola di musica, e il mio insegnante è un grande esempio, ma soprattuto un grande sostegno morale. Il punto è che ho delle lezioni di teoria musicale incluse nel corso, e devo essere inserita in una classe. Ciò significa persone, persone significano paranoie, e paranoie significano ansia, ansia amplificata a mille.
-Devo ancora chiedere per teoria, canto l'ho iniziato lunedì.-
-Dici che la musica sia la tua vita, ma non fai nulla per far sì che sia vero. Il saggio non l'hai fatto, perché "no, viene il mio ex a vedermi, e poi non voglio immaginare ciò che penserà la gente di me", teoria nemmeno perché "no, non voglio immaginare cosa penserà la gente di me". Allora come si fa? Se resti seduta sul divano a guardare le cose passare, non cambierà la situazione. Ti fai già i film prima che le cose accadano realmente.-
Eccolo lì, il mio solito sguardo fisso nel vuoto. Come se la giustificazione perfetta arrivasse da un momento all'altro come per magia, e mi salvasse da questa situazione.
-Chiederò per teoria.-
-Sarà meglio!- scherza -Comunque sto cercando di farti entrare in terapia, ma come ti ho già detto, non è facile essendo che non abiti qui.-
Aspetto con ansia e terrore quella possibilità. Terapia di gruppo. Dove un gruppo di persone, oltre la taglia 52, parlano delle loro esperienze. Persone come me. Un posto dove non sentirsi sporchi, dove non sentirsi diversi. Ma quella possibilità forse ora non c'è.
Sonia ormai non può più fare molto. Devo essere seguita da un gruppo di persone specializzate in disturbi alimentari. Da infermieri, medici e psicologi. Anche se, devo dire la verità, ogni volta che esco dal suo studio mi sento svuotata, completamente. Come se vomitassi un pranzo troppo pesante. Così scendo e passo da mia madre in negozio.
Sono sicura che se mi vedrà sorridere, starà più tranquilla.
Entro in negozio ed ecco che c'è, Loris, il figlio del titolare.
Cazzo. Ho la faccia da psicopatica, i capelli tirati su. Proprio oggi doveva venire in negozio?
Un grande -Ciaaaao- ed entro dalla porta d'ingresso. A volte cammino quasi in punta di piedi per sembrare più delicata. Ma forse non mi rendo conto che in realtà sembro un ippopotamo che cammina su un vecchio parquet.
Lui sorride, ricambia il saluto e si avvicina per chiedermi qualcosa.
Sicuramente il numero. Oppure il contatto facebook. Dai.
-Come va?-
Dai.
-Bene tu?-
-Bene! Un po' stanco, stasera dovrei uscire con amici, ma non sappiamo che fare.- sbuffa.
Sicuramente ora mi chiederà di uscire con lui e i suoi amici. Suvvia.
Io accenno una risata.
Silenzio.
Ali, dì qualcosa dannazione.
-Magari un pub?-
-Sì è una buona idea! Oppure in centro e bon, la finiamo lì. Solo che dopo un po' il centro è noioso, sempre i soliti locali. Ma sicuramente finirà così la serata.- ride.
Rido.
Rido. RIDO?! Cosa cazzo rido a fare? Dì qualcosa. 
Silenzio infinito.
-Ragazzi andiamo?-
Il padre di Loris deve chiudere negozio, è praticamente ora di cena, e io ho perso l'occasione di parlare con il figlio. Ansia.
Ci salutiamo, e bon. Un applauso all'impavida Alana.
Macchina + Cuffie = Film mentali al finestrino dell'auto.
Le luci della sera aumentano la mia capacità d'immaginazione. Passa una canzone di Sharon Van Etten, infinitamente triste. Scintilla. Cervello in fiamme ma il cuore è gelido.
Perché tutti possono assaporare il gusto dolce dell'amore?
Eccola lì, la domanda. Io le uniche cose dolci che sento sono le merendine che mi faccio fuori la notte. Sono stanca di dover combattere da sola. Troppo esausta. Voglio sentire anche io l'abbraccio caldo di qualcuno d'importante. Voglio sentirmi apprezzata, e non sola. Non più.
Dannata sia io, e dannato sia il mio corpo. Il problema è solo lui. E' colpa sua se sono sola, se tutti mi guardano con disprezzo, e se nessuno si avvicina.
Forse nemmeno io stessa mi amerei, diciamoci la verità.
Voragine enorme alla bocca dello stomaco. Una strana sensazione sale fino alla testa.
-Mamma, stasera prendiamo la pizza?-
-Sì, perché no.-
Il problema di mia madre è che a volte non sa dirmi di no.
Mezzanotte. Sono ancora piena per colpa della pizza gigantesca che mi sono presa. Perché poi succede così, figuratevi se prendo una margherita, suvvia! La sensazione? Fallimento. Perché è quello che sono. Poi un pensiero veloce: Loris. Gli occhi. Il sorriso. A volte, da brava adolescente incallita, metto a confronto una mia foto con una serie di ragazzi che mi piacciono. Così, per vedere quanto potrei starci bene. Ma solo la faccia. Se dovessi prendere una mia foto dove sono intera, probabilmente mi urlerei io stessa che merito di star sola.
Così, solita giornata. Finisco per mettermi sotto le coperte alle quattro del mattino, dopo aver mangiato qualche schifezza presa di nascosto dalla dispensa. Prima di addormentarmi passano mille pensieri, film su storie impossibili, amiche, ragazzi. Anche pensieri da ipocondriaca abituale quale sono. Qualsiasi cosa di osceno passa prima dalla mia testa. Morte. Grassa. Malattie. Grassa. Solitudine. Grassa. Ragazzi. Grassa. Alana. Grassa. Alana. Pazza.
Sonno. Quiete.